Ieri, nell’aula Magna dell’Università della Calabria, si è svolto un interessante convegno sul tema ‘’La forza del diritto o il diritto alla forza. Nuove strategie politiche e normative per la lotta alla mafia’’, organizzato dal Centro studi regionale Giuseppe Lazzati. Filo conduttore del convegno la legge Lazzati che, approvata dopo 17 anni di lungo travaglio istituzionale e politico, impone il divieto di propaganda elettorale per le persone sottoposte a misura di prevenzione per reati di mafia, e quindi tenta di recidere il cordone ombelicale dell’infiltrazione mafiosa nella politica. A moderare l’evento l’appassionato Giudice calabrese Romano De Grazia, Presidente del Centro Studi Lazzati nonché Presidente onorario della Suprema Corte di Cassazione. Tra i relatori, oltre a diverse autorità civili e religiose, i massimi esponenti istituzionali del contrasto al fenomeno mafioso: Franco Roberti, Procuratore Nazionale Antimafia, e Rosy Bindi, Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia. Nella relazione di introduzione il Giudice De Grazia ha coinvolto l’intera platea di uditori evidenziando il paradosso della Calabria, regione italiana con il più alto tasso di disoccupazione giovanile e, nel contempo, la presenza dell’impresa criminale più ricca e potente d’Italia, la ‘ndrangheta. Citando poi uno studio commissionato dalla Banca Mediocrati, ha inoltre evidenziato il peso ancora molto forte della corruzione nel nostro Paese e, parlando del tortuoso processo di approvazione della legge Lazzati, l’ha definita come la ‘’la legge del voto pulito’’. Dopo di Lui ha preso la parola il nuovo Rettore, prof. Gino Crisci, il quale dopo aver espresso il Suo compiacimento al Centro Studi per aver voluto affrontare all’Unical un tema così delicato come quello del contrasto alle mafie, ha detto che in questa battaglia l’Università può e deve fare molto, in quanto il sapere deve uscire dalla torre d’avorio in cui si trova e, come un fiume, inondare positivamente il territorio circostante. Intervento significativo anche quello del Sindaco di Cosenza, Mario Occhiuto, secondo il quale è difficile amministrare nei nostri territori perché spesso l’ingordigia della politica trova sponda negli interessi criminali delle organizzazioni mafiose. Una difficoltà legata altresì al fatto che il bene comune si configura, in realtà, come qualcosa di più che la semplice sommatoria dei beni individuali. L’Avv. Ernesto D’Ippolito, Presidente emerito degli Ordini forensi calabresi, ha dal canto Suo ricordato la strana e tortuosa vita del progetto di legge Lazzati nonostante il rischio metastasi della ‘ndrangheta fosse stato già da tempo individuato dal legislatore, e il prezioso ruolo del Centro Lazzati nel concentrarsi sulle elezioni politiche come strumento di infiltrazione mafiosa. Ha ricordato inoltre lo strumento importante delle leggi di iniziativa popolare, poco utilizzato in Italia, e la situazione spregevole del sovraffollamento delle carceri, spiegando come solo un terzo di chi sia costretto in carcere lo è per una sentenza passata in giudicato. Gli altri sono tutti in attesa di giudizio definitivo. L’arcivescovo di Catanzaro, Mons. Bertolone, ha ricordato invece come un pericolo più insidioso della ‘ndrangheta sia il conflitto tra le istituzioni e come i 4 milioni di poveri in Italia siano 4 milioni di potenziali malviventi, quindi è necessario impegnarsi con determinazione in tutte le sedi istituzionali. Anche perché –ha sottolineato bene poi Damiano Viteritti, esponente nazionale dei Giovani Avvocati – la lotta tra Istituzioni dello Stato (che non collaborano e sono corrotte) e le mafie è impari e spesso nelle maglie dell’azione antimafia finiscono anche avvocati e magistrati. Franco Marzano, Presidente emerito della Corte di Cassazione, ha sollevato la differenza tra il terrorismo e la mafia. Il primo, sconfitto in venti anni perché era contro lo Stato; la seconda, ancora viva e attiva perché collusa con lo Stato, in cui si infiltra per soddisfare i propri interessi illeciti e criminali. Sottolineando poi come la mafia sia la maggiore impresa del Paese (con un fatturato pari all’1,3% del Pil) ha posto l’accento sull’importanza delle politiche di prevenzione rispetto a quelle di repressione del fenomeno. Ha inoltre detto che i politici italiani detengono il record per il reato di peculato e quindi è necessario trovare il coraggio di migliorare la legge Lazzati, perché approvata in questo modo serve poco a contrastare il fenomeno della collusione tra politica e criminalità organizzata. Sono intervenuti successivamente: il Sen Molinaro, del Movimento 5 Stelle, secondo il quale se si salva il Mezzogiorno dalla morsa della mafia si salva l’Italia intera; il Sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione, Luigi Riello, che ha ricordato come le stragi di mafia degli anni novanta abbiano costituito un elettroshock delle coscienze italiane e che, se la pena deve tendere a rieducare il condannato, l’impunità non ha mai rieducato nessuno. Hanno concluso i lavori Rosy Bindi e Franco Roberti. La Bindi, al Suo primo invito ufficiale dal Presidente della Commissione Parlamentare antimafia, ha sostanzialmente detto che l’azione normativa è importantissima per contrastare il fenomeno mafioso e la corruzione, ma essa non è sufficiente perché ciò di cui ha innanzitutto bisogno il Paese è di ritrovare una forte coscienza civile, una coscienza dei diritti e dei doveri, prima di fare qualunque cosa, perché la mafia – richiamando il pensiero di Caponnetto – ha più paura della cultura che della Giustizia. Infine, il Procuratore Roberti ha ribadito la necessità di continuare sulla strategia intrapresa da tempo che è quella dei sequestri e delle confische dei patrimoni illeciti, della ‘ndrangheta e delle altre organizzazioni mafiose, ovunque quei patrimoni si trovino. ‘’E’ importante seguire la pista dei capitali che muovono il narcotraffico – ha detto il Procuratore – bisogna intervenire sui capitali e sull’area degli operatori finanziari che sta intorno ai trafficanti di droga. Con le loro attività consentono il finanziamento dei traffici di stupefacenti che sono la fonte di ricchezza massima delle organizzazioni mafiose, e in particolare della ‘ndrangheta. La chiave di volta è il buon funzionamento dell’agenzia per la gestione e la destinazione dei beni confiscati e un’intensa azione di coordinamento e cooperazione sul piano internazionale.
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