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Saluto tutti e Vi ringrazio per la partecipazione così numerosa stasera. Saluto e ringrazio gli esimi colleghi relatori, in particolare l’amico Pasquale Pandolfi che ha il merito di aver organizzato questo importante evento e il Prof. Fragola, stimato docente del diritto europeo e uomo di istituzioni comunitarie. Lasciatemi dire innanzitutto che questi momenti di confronto e riflessione collettiva sono importanti come quei momenti in cui ognuno di noi si ferma a riflettere un pò sul proprio percorso di vita, sulle sue scelte e sulle circostanze di cui è protagonista. Sono momenti in cui si prende consapevolezza, in questo caso collettiva, della posizione in cui ci si trova e si ragiona su dove si vuole andare. Detto questo, devo subito premettere che Io non sono un esperto di Unione Europea, ma uno studioso di sociologia politica e un amministratore pubblico, in quanto sono Consigliere Comunale a Bisignano; quindi darò il mio contributo in chiave sociologica e politica e procederò per spunti di riflessione.
Non posso iniziare il mio intervento se non considerando che quello dell’Unione Europea è un progetto di integrazione politica e istituzionale tra i più grandiosi e importanti che siano stati mai avviati nel corso della storia: basti infatti considerare che circa 70 anni fa i popoli europei sprofondavano nel baratro di una guerra terribile, un fratricidio, che ha causato come sappiamo milioni e milioni di morti. Da allora sono trascorsi, anche grazie al processo di integrazione europea, 70 anni di pace e collaborazione tra quegli stessi Paesi che avevano combattuto ben due guerre mondiali. Parlare di Unione Europea significa dunque parlare di un progetto grandioso, ossia di 28 Paesi (e circa 500 milioni di abitanti) con lingue, monete e percorsi differenti, anche se simili, che hanno deciso di far incontrare e intrecciare i loro destini. Un sogno che sta diventando realtà! Un’invenzione sociale e politica che, per la sua portata e la sua complessità, è paragonabile a una grande scoperta scientifica. Anzi, colgo l’occasione per ricordare l’importanza della ricerca nel campo della scienza politica e della sociologia, da cui appunto derivano anche progressi come questo dell’Unione tra gli stati europei. Partiamo dunque da qui.
E’ evidente che, in questa particolare fase di recessione economica, tale processo di integrazione sta subendo pesanti battute d’arresto (si pensi al consenso che hanno oggi i partiti nazionalisti, come quello di Le Pen in Francia , o della Lega Nord in Italia, ecc. o alla minaccia di uscita dell’Inghilterra dall’Ue (Brexit) e della Grecia dall’Euro. (Grexit).)
A questo aggiungiamoci che è un particolare periodo di crisi economica e sociale soprattutto per noi Paesi dell’Europa Mediterranea, a causa di quella che io definisco (nel mio libro Cambiare il sud per cambiare l’Italia, Apollo edizioni, 2014) una ”Questione Meridionale Europea” : vale a dire il crearsi e il consolidarsi di un dualismo economico e sociale in Europa tra Paesi del nord e Paesi del sud . Tale dualismo sta penalizzando questi ultimi a causa: delle misure finanziarie di austerità troppo restrittive, ai flussi di risorse umane che emigrano dal sud verso il nord europa, al processo di deindustrializzazione in atto nei Paesi meridionali, ai sentimenti di reciproca diffidenza tra Paesi del nord e Paesi del Sud Europa o (come meglio ebbe a dire Romano Prodi, tra i Paesi europei anglosassoni e i paesi europei neo-latini). L’Europa insomma sta facendo lo stesso errore che ha fatto l’Italia, in cui, successivamente all’unificazione delle economie il nord (la parte più forte e organizzata) si è accresciuta anche a danno del sud (la parte più debole e meno organizzata).
Dunque possiamo parlare di un forte rallentamento del processo di integrazione, anzi dell’avvio di un processo di ”disintegrazione” e scarsa coesione sociale dovuto anche al fatto che l’Unione Europea sia e sia stata percepita soprattutto come una unione economica e finanziaria e non anche come un’unione politica e culturale. In questo ha pesato e pesa secondo me il fatto che l’Unione Europea non sia ancora diventata un vero e proprio Stato federale (come gli stati uniti d’America) e non si sia dotata di una Costituzione unica, chiara, accessibile, condivisa tra i popoli europei.
Se la situazione è questa, quali possono essere le soluzioni? Parafrasando una storica frase di D’Azeglio direi che ”fatta l’Europa bisogna fare gli europei”! Ossia si deve puntare a integrare e rendere coesi i popoli e i territori europei. Come? Alzando il livello della sfida, facendo scelte coraggiose, accelerando i processi di unione politica e istituzionale (fondando gli Stati Uniti d’Europa, con una Costituzione unica, un welfare comune, un’unica politica industriale, un esercito comune, una polizia comune). In questa impresa ognuno di noi deve sentirsi ovviamente coinvolto, ma oltre all’impegno dei cittadini, risulta secondo me fondamentale il ruolo dei partiti progressisti europei e l’avvento di nuovi leader, o il rinnovato coraggio di quelli attuali. Si, perché tra il degrado delle istituzioni e la necessità di leader carismatici che rivitalizzino le istituzioni vi è un rapporto direttamente proporzionale. Le comunità politiche non coese hanno, in sostanza, bisogno di leader che sappiano garantire coesione sociale e infondere nuovamente coraggio. Pensate all’Istituzione Chiesa Cattolica in crisi e al carisma di Papa Francesco che ne sta rifondando la missione nel mondo.
Con ritrovato coraggio, con maggiore coesione sociale e territoriale, per la storia che ha e le potenzialità che ha accumulato nel corso della storia, l’Unione Europea può diventare per davvero lo ‘spazio organizzato della speranza umana’! (come viene definita nel preambolo della bozza di Costituzione europea); il laboratorio mondiale di un nuovo modello di sviluppo, quello sostenibile (compatibile con l’ambiente e con chi lo abita) e di una nuova democrazia, quella partecipativa (in cui ai cittadini sono garantiti spazi più ampi di sovranità).
Grazie!