Può un popolo progredire se il proprio governo non è capace di realizzare il benessere generale? E può un popolo progredire se esso stesso è apatico e passivo, acquiescente nei confronti di un governo che funziona male? La risposta è no. Affinché dunque vi sia progresso è necessario che si verifichino due circostanze: un buongoverno e una cittadinanza attiva. Ancora: può un buon governo realizzare il suo programma se la cittadinanza non vi collabora? E possono cittadini attivi contribuire al miglioramento della propria collettività se sono ignorati, o peggio ostacolati, da chi li governa? La risposta è ancora una volta no. Affinché dunque vi sia progresso è necessario altresì che il buon governo e la cittadinanza attiva interagiscano e si muovano coordinatamente, come le ali di un uccello o, ancora meglio, come le gambe di un essere umano, in quanto l’agire dell’uno stimola, e al contempo favorisce, l’agire dell’altra, e viceversa. In altre parole, buone politiche pubbliche incitano i cittadini a comportarsi virtuosamente, e valide iniziative civiche spronano chi amministra a farlo nel migliore dei modi. Al contrario, il malgoverno induce la cittadinanza a divenire passiva, e una cittadinanza passiva induce chi governa a non evolvere. Ma cosa si può intendere per buongoverno e per cittadinanza attiva?
Il buongoverno è quel tipo di governo che realizza risultati utili al conseguimento del bene comune, che non delude le aspettative dei cittadini ma li stupisce positivamente con i fatti, anche in assenza di aspettative. Il buongoverno è quello che valorizza le risorse presenti su un territorio, a cominciare da quelle umane, e che si inventa delle risorse quando non ve ne sono. E’ quel tipo di governo che si concentra nel garantire beni e servizi essenziali, prima di garantire quelli superflui. E’ quel modo di governare che concepisce l’equilibrio tra i diritti e i doveri dei cittadini come un tesoro da cercare e custodire. Esigere doveri senza far corrispondere a questi dei diritti significa infatti perdere la fiducia dei cittadini e la loro collaborazione, preziosa quest’ultima più della mera obbedienza alle leggi. In questo senso, fautori del buongoverno sono coloro che concepiscono il voto del cittadino come un prestito, non già come un regalo, di fiducia. Il buon governo è quello che anticipa i tempi e non li rincorre, che sa innovare senza tuttavia creare disordine. E’ quello che nell’assumere le decisioni coinvolge i diretti interessati e valorizza le competenze specifiche che esistono sul territorio; quello che concepisce le istanze delle opposizioni come occasioni di miglioramento e non come minacce, e le realizza anche se non le ha ideate. Il buongoverno è quel tipo di amministrazione che abusa del suo potere solo per nobili fini, che promuove la legalità innanzitutto con la testimonianza dei suoi rappresentanti. E’ quello che si preoccupa dell’emancipazione culturale e di quella economica degli individui, e si tormenta per conquistarle. E’ il risultato di quei governanti che, mentre risolvono le piccole questioni, pianificano le grandi, gettando il cuore oltre gli ostacoli con ambizione e coraggio. E’ quello che gestisce in maniera appropriata le finanze; che offre sicurezza impedendo le prevaricazioni dei più forti sui più deboli e tutela le minoranze. Il buongoverno è quello capace di una proficua attività diplomatica con i governi delle comunità politiche vicine, siano esse città o stati. Il Buongoverno è, in definitiva, quello che stimola la cittadinanza a comportarsi al meglio.
Se per cittadinanza si intende invece la legittima e piena titolarità di diritti e di doveri previsti dall’ordinamento costituzionale vigente, per cittadinanza attiva si può intendere la capacità di agire efficacemente per rivendicare, conquistare, tutelare e difendere i propri diritti nonché la disponibilità, la sensibilità e la maturità per ottemperare efficacemente ai propri doveri di cittadino. Entrambe le condizioni sono essenziali. Se non si rivendicano e ottengono i propri diritti non si ha la forza per assolvere ai propri doveri; se non si adempie ai propri doveri non si ha la forza di reclamare i propri diritti. Difatti, uno dei problemi dei contesti sociali dove la cittadinanza è passiva, è che la gente, non assolvendo pienamente ai propri doveri, si adegua al contesto di degrado, si corrompe, e perde quindi la forza di battersi per i propri diritti, perché è consapevole di essere in errore o di non essere pienamente nel giusto e di essere quindi ricattabile. La rivendicazione dei propri diritti e l’adempimento ai propri doveri sono inoltre direttamente proporzionali al livello di emancipazione culturale prima, ed economica poi, dei cittadini. Ragion per cui quanto più queste due emancipazioni saranno compiute, tanto più il cittadino potrà essere e sarà attivo. L’emancipazione culturale ovviamente si raggiunge studiando e conseguendo titoli di studio, informandosi, leggendo i quotidiani, consultando siti di informazione da internet o ascoltando programmi radiofonici o televisivi; partecipando a quelle che sono le attività culturali, quali seminari, convegni, presentazioni di libri, spettacoli teatrali e musicali, mostre d’arte, e attività politiche che vengono organizzate in una collettività, come ad esempio riunioni, manifestazioni, comizi, o attività istituzionali come le sedute di consigli comunali, o regionali o parlamentari, o cose di questo genere. L’emancipazione economica si ottiene invece svolgendo un’attività lavorativa remunerata, ove e quando questo sia naturalmente possibile. Cittadinanza attiva significa inoltre partecipare in maniera operativa alla vita della propria collettività, sia locale che nazionale, prendendo parte alle associazioni, politiche, religiose, sportive, ricreative, culturali, ecc. perché il partecipare alle associazioni significa permettere un migliore svolgimento della propria personalità e una maggiore integrazione nel proprio contesto sociale. Ancora, cittadinanza attiva è quella che denuncia le cose che non funzionano, e lavora a soluzioni alternative. Quella che stimola il potere politico al soddisfacimento delle istanze che riguardano la collettività e si astiene dal fare pressioni politiche per quegli interessi, particolari, che creano danno o pregiudizio agli interessi generali. La cittadinanza attiva è, in definitiva, quella che sa stimolare i governanti a comportarsi al meglio.
Detto questo, non c’è popolo o territorio che, per progredire, possa fare a meno del buongoverno e della cittadinanza attiva, ma ci sono popoli e territori che sono ancora oggi caratterizzati più che altro da malgoverno e cittadinanza passiva, per la mancanza di una piena emancipazione culturale ed economica, o per il verificarsi di circostanze che ne pregiudicano la bontà dei governi o la partecipazione attiva dei cittadini. Questi territori non progrediscono, o progrediscono male. In essi non matura l’interazione tra buon governo e cittadinanza attiva ma piuttosto, purtroppo, la complicità tra malgoverno e cittadinanza passiva. In questi contesti, chi si ritrova ad essere amministratore pubblico deve preoccuparsi di governare bene anche se la cittadinanza è passiva, e chi è cittadino deve invece preoccuparsi di esercitare la propria cittadinanza attiva anche se chi governa lo fa in maniera sbagliata. E il progresso, così, non tarderà a spiccare il volo.
Francesco Lo Giudice