Caro Presidente,
sono Francesco Lo Giudice, un giovane calabrese di ventisei anni laureato in scienze politiche. Premetto che mi fa molto piacere che un insigne uomo del Sud, quale Lei, sia stato eletto Presidente della Repubblica e premetto anche che
mi ha fatto molto piacere apprendere da un cronista della radio, il giorno della Sua elezione, che Lei ha incentrato la tesi di laurea sulla “questione meridionale”. L’ho fatto anch’io. E questo fatto che ci accomuna è per me motivo di vanto e di incitamento. Le scrivo proprio in merito alla “questione meridionale”. Sono fortemente convinto – e credo La troverò concorde – che la generazione alla quale appartengo darà il colpo di grazia alla ormai vecchia ma affatto risolta questione del Mezzogiorno d’Italia. E questo per il semplice motivo che al bagaglio culturale, ideologico e strutturale che voi generazioni precedenti ci avete lasciato in
eredità, si viene a sommare un valore aggiunto, per nulla indifferente, un plusvalore che può fare, perché sta già facendo, la differenza: la globalizzazione. La rapida e diffusa intensificazione delle comunicazioni a livello internazionale e la conseguente facilità di scambio delle informazioni, darà e sta dando alle persone di tutto il mondo – specie a quelle occidentali, perché più a contatto con le tecnologie – la possibilità di prendere realmente coscienza della propria condizione sociale, economica e culturale e confrontarla con quella degli altri popoli e Paesi. Non solo. Se a questo si aggiunge la straordinaria mobilità fisica, e quindi la possibilità di spostarsi liberamente e facilmente sia da un Paese ad un altro che all’interno dello stesso Paese, e si aggiunge altresì ad essi un processo di scolarizzazione di massa senza precedenti storici, si intuisce subito che il potenziale culturale dei cittadini italiani meridionali e delle loro istituzioni subirà, e sta subendo, un incremento esponenziale consistente e soprattutto da non sottovalutare. Tale enorme potenziale culturale, unito allo sforzo sempre più competente e mirato dello Stato, che Lei in questo momento degnamente rappresenta, e degli organismi sovranazionali di cui Esso fa parte, sta già dando i suoi primi maturi frutti.
Non è un caso, infatti, che un gruppo di giovani – quelli di Locri – siano scesi in piazza a viso scoperto a sfidare la ‘ndrangheta. Non è un caso che abbiano fatto altrettanto, qualche mese dopo, centinaia di giovani di Lamezia Terme. Non è un caso che i commercianti di Lamezia Terme abbiano protestato massicciamente sistemando a metà altezza le saracinesche delle loro attività per ribellarsi contro il racket e la mafia in generale che da anni li soggioga e li sfrutta. Non è un caso che, nella Sua città – Napoli, la capitale del Mezzogiorno – siano scesi in piazza giorni fa oltre centomila persone per manifestare contro la camorra e contro la cultura dell’illegalità.
Sono sicuro converrà con me e con la mia analisi. E allora mi permetta prendere con dispiacere le distanze dalle congratulazioni e dalle approvazioni che Le sono giunte da più parti per il Suo discorso di fine anno. In verità, mi sarei aspettato da Lei, illustre italiano meridionale e meridionalista, una sonora ed autentica condanna ai delinquenti ed ai mascalzoni del Sud ed un altrettanto vigoroso, sincero e perentorio incoraggiamento a quanti stanno lottando per sconfiggere la mafia e redimere un territorio che, come Lei sa benissimo, è attanagliato e soffocato da annosi malanni culturali, sociali, economici e politici che ne mortificano la vitalità e ne pregiudicano l’armonioso sviluppo. Un incoraggiamento ed una vicinanza a tutti i coloro i quali, in modo e misura diversi, si stanno unendo al tiro alla fune contro il regresso di una società, quella meridionale, in cui gli abitanti purtroppo continuano a sentire lo Stato ancora troppo distante, inefficace ed ostile. Nel Suo discorso, che io ho ascoltato e poi letto attentamente, infatti, ha fatto cenno al Mezzogiorno, e più di una volta, ma, mi permetta, non ha dato ad esso, e ai suoi più onesti abitanti, la giusta importanza, la giusta attenzione, il giusto augurio.
Capisco Presidente, e mi scusi lo sfogo, che doveva rispettare criteri di sintesi e di tempistica. Ma ha parlato del Mezzogiorno come se fosse un territorio normale. Ha parlato di esso come se fosse normale che venga assassinato un Vice-Presidente Regionale dalla mafia, come se fosse normale che i giovani del Sud, nel 2006!, continuino ad emigrare nel Nord Italia e nel mondo in cerca di lavoro. (una vera e propria emorragia umana che ha visto negli ultimi cinque anni – fonte sole 24 ore del 13 dicembre 2005, pag. 26 – emigrare ben 600 mila giovani meridionali per lo più diplomati e laureati fuori dalle proprie regioni). Come se fosse normale che in un paese (quello di San Luca -RC- ) il Prefetto arrivi addirittura a vietare i festeggiamenti di capodanno per evitare azioni di faida criminale e ulteriori spargimenti di sangue. Come se fosse normale che non passano giorni che non si incendino case, automobili, attività commerciali, che si commettano o si tentino omicidi e delitti efferati, che si raggiri la legge ed i suoi rappresentanti ed esecutori. Come se fosse normale per un Paese sviluppato come il nostro, continuare ad avere un territorio dove i cittadini cedono parte della propria sovranità a due Ordini costituiti, l’uno contrapposto all’altro: la mafia e lo Stato, e non lo Stato e la mafia, perché continua a comandare più la prima che il secondo, almeno nella sostanza.
Non basta dire, mi permetta, come ha fatto nel Suo discorso, che c’è bisogno di creare più lavoro nel Sud per combattere la criminalità, poiché, se questo è assiomaticamente vero, è altrettanto vero che per avere più lavoro (come ha affermato giustamente Angeletti a Napoli), è necessario che vi sia meno criminalità. Tanti stanno provando ad aprire attività commerciali private ed imprenditoriali, ma troppi ancora vi rinunciano dopo avervi provato o, cosa ancor più grave, non vi provano affatto. Come se fosse normale per un territorio europeo discutere per mesi se inviarvi l’esercito o no per motivi di sicurezza.
Ebbene, caro Presidente Napolitano, accetti le mie deferenti osservazioni, perché sono il risultato di una rabbia mascherata da indignazione di un giovane meridionale, che so prova anche Lei in cuor Suo, e che spero non l’abbandoni nel Suo settennato di Presidenza.
Non dimentichi il Sud dell’Italia ed i suoi problemi. Non dimentichi la sfiducia e i disagi della gente che vi abita. Mi permetta consigliarLe di farne obiettivo privilegiato del Suo lavoro istituzionale.
E non basta, anche se fondamentale, rispolverare il pathos nazionalistico e l’idea di Stato, come ha fatto il Presidente Ciampi, ma occorre fare in modo che lo Stato diventi al Sud ciò che dovrebbe essere ovunque: un’istituzione politica capace di garantire ordine, diritti, serenità, benessere e giustizia.
Perché Noi, gente meridionale scontenta, insieme a Lei e a quanti si uniranno ed afferreranno la fune, vogliamo contribuire a civilizzare un Paese e lasciare ai nostri figli e ai nostri nipoti, un Paese civile.
Buon anno Presidente e grazie per tutto ciò che farà.
Bisignano (CS), lì 1 gennaio 2007
Francesco Lo Giudice