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Nel sud dell’Italia la realtà sociale è oggettivamente difficile e complicata. Le particolari vicissitudini storiche che questa parte del Paese ha vissuto dall’unità nazionale in poi ne hanno condizionato e ne condizionano tuttora in maniera rilevante i processi di modernizzazione.

Alcuni gravosi problemi, come la disoccupazione e l’incapacità di produrre autonomamente ricchezza diffusa, non sono stati ancora risolti, altri, come le mafie, sono addirittura aumentati, le quali, divenute vere e proprie imprese multinazionali del crimine con fatturati finanziari esorbitanti, continuano a corrodere con violenza le deboli fondamenta dello Stato. In ciò aiutate da una endemica e diffusa corruzione politica ed economica a livello nazionale.

Il fatto che nel Sud Italia l’illegalità sia diventata fondamentalmente legittima e che essa venga utilizzata come sistema alternativo di regolazione sociale è certamente uno degli effetti più significativi, e nello stesso tempo più nefasti, della debolezza del nostro sistema democratico.

E poiché l’illegalità genera illegalità, il risultato è che nel sud dell’Italia il grado di perversione dell’organizzazione sociale è elevatissimo e ogni tentativo di miglioramento civile è nella maggior parte dei casi inconveniente e faticoso, in quanto deve resistere alla corrente contraria e vorticosa della mentalità dominante pregna di sfiducia, rassegnazione, complicità, paura, sconforto, affezione al sistema.

Noi cittadini meridionali questo lo sappiamo bene e lo sappiamo da tempo: la famosa espressione popolare partenopea secondo cui “ca nisciun è fess” (qui nessuno è fesso) dimostra appunto che siamo più o meno tutti consapevoli che il sistema funziona male e che, in virtù di tale contezza, più o meno tutti ci adeguiamo ad esso per non diventarne a nostra volta vittime.

 

E’ un ragionamento non certo giustificabile ma quantomeno comprensibile se si pensa che non è facile, anzi è assai difficile, comportarsi correttamente in un contesto dove ognuno ha imparato ad arrangiarsi per soddisfare l’interesse personale e familiare, anche quando ciò dovesse recare danno agli altri,  nella convinzione che anche gli altri facciano altrettanto. Non è facile, per dirla in altre parole, essere angeli all’inferno.

La rappresentazione che noi meridionali abbiamo adottato della nostra realtà finora, il modo cioè attraverso cui noi ci siamo percepiti e ci siamo raccontati quotidianamente attraverso le pagine dei giornali e dei libri, le notizie e i programmi radiofonici e televisivi, la letteratura cinematografica e teatrale, ci è servita ad approfondire tale consapevolezza, per cercare di capire quello che siamo stati e quello che siamo oggi, quali i nostri pregi ma soprattutto i nostri difetti, gli errori da evitare, i problemi da risolvere, i comportamenti demoniaci da esorcizzare e stigmatizzare.

 

E così hanno fatto anche scrittori, giornalisti, studiosi e registi non meridionali e non italiani che si sono interessati alla nostra questione e che hanno cercato di svelare i motivi della nostra arretratezza e della nostra diversità dal resto del Paese.

 

E’ grazie anche e soprattutto alle persone che hanno finora studiato, raccontato, interpretato e rappresentato la realtà sociale del Mezzogiorno d’Italia in questi decenni se oggi siamo in grado di diagnosticarne efficacemente, e con una certa precisione, le principali patologie e disfunzioni; è grazie anche e soprattutto a costoro se il Mezzogiorno d’Italia ha fatto, e continua fare, nonostante tutto, notevoli progressi culturali ed economici.

Ciò nonostante, il vortice vizioso in cui è risucchiata la nostra mentalità è forte, impetuoso e travolgente ed esso, fagocitando impietosamente i nuovi entusiasmi, continua a pregiudicare un cambiamento reale e duraturo del modo di costruire collettivamente la realtà.

Come fare dunque per neutralizzare questo vortice o fare in modo che la sua energia possa essere convertita in positivo e diventare virtuosa? Come contribuire al progresso del Mezzogiorno, seria difficoltà  dell’Italia di oggi e vera opportunità dell’Italia di domani?

 

Essendo assiomatico che la realtà e la sua rappresentazione si muovano congiuntamente e si condizionino reciprocamente ed essendo complicato e rischioso agire direttamente sulla realtà per modificarla, uno dei modi efficaci per imprimere una svolta decisiva al sistema è quello di modificare la rappresentazione che facciamo e che diamo pubblicamente della realtà stessa.

Se, infatti, il teorema del sociologo Thomas è vero, secondo il quale ‘ciò che gli individui percepiscono come reale, esso diventa reale nelle sue conseguenze’, ne risulta che fino a quando noi percepiremo come reale il fatto che la nostra società sia impermeabile ad un autentico cambiamento, l’autentico cambiamento non si concretizzerà mai. Così come, fintanto che noi continueremo a pensare alla Calabria e alle altre regioni del Sud solo e soltanto come patria di delinquenti, ladri, truffatori, persone incivili, noi non avremo speranza di risanamento, di emancipazione, di risorgimento, di riscatto.

Se invece iniziamo a promuovere e celebrare la parte migliore di noi, i tanti buoni esempi, le tante eccellenze, le tante positività, gli eroi e le eroine di cui i nostri territori hanno abbondato e abbondano, e che con grande sforzo hanno lottato e lottano ogni giorno per contrastare la decadenza, allora il cambiamento lo inizieremo a percepire, ed esso non tarderà a diventare reale. Si realizzerà. Al pari di una profezia che si auto-avvera.

Non si tratta, è ovvio, di nascondere le notizie negative, quelle di cronaca nera, quelle per cui il Sud è tristemente famoso in Italia e nel mondo e che riempiono i nostri giornali, telegiornali, i nostri immaginari e le nostre menti. Si tratta semplicemente di privilegiare ed evidenziare le notizie positive e propositive che affiorano in superficie ma che presto affondano nel mare magnum del dimenticatoio, e magari soltanto accennare a quelle negative come avviene, non a caso, in altre parti del Paese. Privilegiare, enfatizzare e premiare, dunque, chi costruisce.. e non chi contribuisce a distruggere.

Le notizie negative del resto, ormai lo abbiamo imparato, non hanno bisogno di tanta pubblicità, si promuovono da sole, corrono veloci di bocca in bocca, di tastiera in tastiera, essendo noi esseri umani – come diceva Tito Livio – più sensibili al dolore che al piacere. Sarà per questo che tante buone notizie non riescono spesso a bilanciare l’influenza esercitata da una sola cattiva notizia. Quanti gesti eroici, quanti piccoli e celati successi non riescono a creare la stessa eco di quella emanata da uno stupro, da uno scippo, da un accoltellamento o da un atto intimidatorio di stampo mafioso. Un rapporto impari, sintetizzato egregiamente da un antico proverbio, che recita: ‘fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce’.

Ma noi meridionali non siamo solo mafiosi, truffatori, vagabondi e sfaticati. Noi siamo, e siamo soprattutto, gente onesta e lavoratrice, persone intelligenti ed ingegnose, valorose, creative, determinate e coraggiose. Tantissime le eccellenze umane, artistiche, professionali e istituzionali, infiniti i primati positivi, numerosi gli artigiani, i liberi professionisti e i sani imprenditori, che pur non rubando finanziamenti, con notevoli sforzi si affermano brillantemente da anni nei mercati nazionali ed internazionali, offrendo lavoro a decine e centinaia di persone.

Il sud è strapieno di gente come questa, giovane e meno giovane, che offre ogni giorno agli altri il proprio entusiasmo, la propria energia, il proprio tempo, i propri valori per migliorare il posto in cui vive. Il sud è pieno di persone che denunciano le illegalità e gli atti di prepotenza mafiosa. Eppure, di tutta questa gente non si sa nulla, o molto poco. Di loro, e dei loro successi, si parla poco o quasi niente, e quando se ne parla, lo si fa in maniera spesso fugace, distratta e sbrigativa. Gente che ha deciso di non andar via e di resistere alla corrente, e che ogni giorno è costretta a districarsi in un organismo sociale che nel peggiore dei casi li ostacola, nel migliore li ignora.

E considerando che il nostro è un contesto sociale difficile e complicato, non celebrandoli li mortifichiamo, perché raggiungere da noi risultati positivi è un merito doppio, triplo, che farlo in contesti sociali favorevoli, e di converso, è doppia ed è tripla la colpa che si ha nel non glorificare tali sforzi e nel lasciarne implodere e consumare la potenza nell’indifferenza generale.

 

Vi sarà un motivo se tra le condizioni del successo della società statunitense, alcuni studiosi annoverano proprio la capacità di rendere positivo ciò che non sembra esserlo, di mitizzare ciò che gli appartiene: come nel caso del cowboy, che da semplice mandriano è stato eretto a simbolo dell’uomo valoroso, temerario ed avventuriero.

In conclusione, uscire da questa trappola della rappresentazione negativa della realtà meridionale non è affatto semplice, ma è possibile,  soprattutto se si tende a commettere l’errore opposto: quello cioè di amplificare ed esaltare ciò che di buono e di positivo siamo, abbiamo e produciamo.

Così facendo contribuiremo a restituire fiducia a noi stessi e alla nostra società, e ristabilendo la fiducia, invertiremo il circuito, ed invertendo il circuito, aumenteranno automaticamente per noi meridionali le occasioni di lavoro e di realizzazione personale e, una volta liberi di non emigrare, potremo accumulare l’ossigeno necessario a starnutire, una volta per sempre, i nostri mali.

15 aprile 2009
Francesco Lo Giudice

 

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