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Saluto Voi presenti e Vi ringrazio per la cospicua presenza. 
Permettetemi innanzitutto di congratularmi con l’on. Cesare Marini per il considerevole contenuto degli scritti contenuti nella rivista che oggi andiamo a presentare, compresa la lucida analisi della situazione politica italiana degli ultimi anni da Lui scritta. Congratulazioni inoltre all’amico Pasquale Pandolfi che contribuisce, con tante lodevoli iniziative, a mantenere vivo il fuoco della cultura qui a Castrovillari e nella zona del Pollino. Non posso inoltre esimermi dal dirmi onorato di sedere affianco a persone che stimo molto e che molto stanno dando al progresso della nostra società, come il prof. Domenico Cersosimo. Grazie infine all’avv. Lucio Rende, delegato alla cultura della Città che ci ospita.

Visto il tempo a disposizione e la nutrita schiera di relatori, anche per non abusare della Vostra pazienza mi limiterò a condividere con Voi alcune sintetiche idee che sono andato maturando leggendo la rivista Nuove Lettere Meridionali.

Parto con il dire che ci sono sostanzialmente due modi di affrontare i problemi: o ingigantirli, finendo con il combatterne la rappresentazione mitica che ne consegue, piuttosto che le cause, o misconoscerne la esistenza, ignorarli, sottovalutarli e non riconoscerne la gravità. A tal proposito credo che la storia della Repubblica italiana si possa leggere anche a proposito dell’atteggiamento che si è avuto negli anni nei confronti della questione meridionale, anche e soprattutto da persone con incarichi di governo e responsabilità sociale. C’è stato chi ha negato che la questione esistesse, chi l’ha posta a causa di tutti i mali italiani.

La seconda cosa su cui vorrei riflettere insieme a Voi è il ruolo svolto dalle regioni del Mezzogiorno finora. Credo che il Sud, assolvendo ad una funzione più che altro passiva dello sviluppo economico e industriale nazionale (nella convinzione come dice Giuseppe Soriero nella rivista che ”per l’opinione pubblica i problemi dell’Italia coincidano in realtà con quelli delle sue zone più forti, e che basti rimettere in moto la locomotiva del nord per far ripartire l’Italia.”; dicevo, credo che assolvendo a un ruolo passivo dello sviluppo nazionale, il Sud abbia finora assolto approssimativamente al ruolo di una moderna quanto estesa colonia interna al Paese (non solo per l’elevatissimo numero della forza lavoro – operaia e intellettuale – emigrata nel resto del Paese, ma anche per la disponibilità di materie prime trasformate nelle altre regioni, e quindi aver garantito alle imprese centro settentrionali un ampio bacino di consumatori della merce prodotta. Pensiamo solo ai prodotti alimentari che arrivano sulle nostre tavole: Prosciutto di Parma, Grana Padano, Asiago, acqua Levissima, Ferrarelle; la maggior parte dei prodotti che abbiamo consumato finora qui al sud venivano prodotte o trasformate nelle regioni del Sud. E non solo prodotti alimentari. Pensiamo a dove hanno sede le banche del Paese, o gli istituti finanziari e le società assicurative, o piuttosto le maggiori case editrici, gli elettrodomestici, i quotidiani di informazione, eccetera. L’Italia è quindi divisa tra una macroarea che sostanzialmente produce e consuma, e un’altra che consuma e produce (poco), cioè il Mezzogiorno.  Cioè mi pare che l’unione economica e la nascita del Regno d’Italia abbia progressivamente comportato la creazione di uno squilibrio o dualismo economico e sociale tra la parte nord e quella sud. La parte che ha prevalso il termini di organizzazione ha in qualche modo beneficiato della disorganizzazione della parte più debole, il Sud. Forza lavoro in cambio di prodotti di consumo. Quello che mi pare stia avvenendo oggi tra Paesi del sud/est Europa e Paesi del nord Europa, dando luogo a quella che io definisco una ormai chiara ‘questione meridionale europea’.

Se dunque il Mezzogiorno ha finora svolto un ruolo di colonia per il sistema di produzione del Paese, c’è da chiedersi che ruolo è chiamato a svolgere oggi per il rilancio del Paese stesso. Per chi Vi parla, ma anche immagino per i colleghi relatori, il Sud rappresenta una delle più grandi, se non la più grande, opportunità di sviluppo che il sistema Paese ha di rilanciare la Sua economia e la Sua società. il Sud può costituire volano di sviluppo se si mirerà (emerge benissimo dagli scritti contenuti nella rivista) a valorizzare le sue inespresse potenzialità dotandolo di ciò che gli necessita.  Noi italiani meridionali sappiamo che i nostri territori e le nostre città sono piene di mille risorse, sono scrigni di risorse valorizzate poco e male, quanto non addirittura mortificate. Apprendo ad esempio dalla rivista che la Calabria è la terza regione d’Italia per il maggior numero di aziende agricole, salvo poi scoprire in qualche pagina più avanti che è però la peggiore regione da un punto di vista infrastrutturale, viario e dei trasporti. C’è quindi da chiedersi come possano le aziende agricole calabresi a lavorare bene se i trasporti non funzionino a dovere. 

Gli ultimi saranno i primi. Permettetemi a questo punto di leggerVi la parabola evangelica dei lavoratori delle diverse ore, o meglio conosciuta come i lavoratori dell’undicesima ora.  

Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna.
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi” (Matteo 20,1-16)

Questa parabola fa capire che, al mutare di determinate circostanze,  gli ultimi posso paradossalmente ritrovarsi avvantaggiati e divenire i primi. E’ quello che secondo me accadrà in Italia perchè siamo in un cambio del paradigma dello sviluppo a livello nazionale Finora cioè si è prodotto a tutti i costi, danneggiando l’ambiente e spesso la salute e la dignità dei lavoratori. Oggi si sta invece affermando un paradigma di sviluppo definito sostenibile, uno sviluppo cioè che debba poggiare su principi etici oltre che economici. In questo cambio di paradigma, il Mezzogiorno  può diventare laboratorio di un nuovo sviluppo, proprio perché le sue potenzialità sono ancora inespresse.Da ultimi cioè possiamo ritrovarci a essere i primi, passando da un ruolo passivo a uno da protagonisti del rilancio dell’economia nazionale. Ciò non deve stupire perché è importante comprendere che la natura e la realtà sociale sono, se ci pensate, pieni di paradossi. 

Come può accadere ciò? Intanto se si punta a realizzare i chiari punti programmatici della Mozione Calabria, contenuta nella rivista,  formulata dall’onorevole Marini e da altri deputati del Partito Democratico e sottoposta al Governo nazionale dell’anno scorso. Poi magari istituendo (come propone l’on. Gianni Pittella) delle ‘zone economiche speciali’ al Sud. Zone cioè che abbiano tassazione agevolata per permettere alle nostre imprese di rilanciare la produzione e alle imprese del centro nord di dislocare nelle nostre aree industriali dismesse le loro produzioni, anzichè andarlo a fare in Bulgaria, Romania, ecc. Anche perchè le imprese del Sud, è bene dirlo, sono sottoposte a due regimi fiscali, quello delle tasse dello Stato da una parte e quello del pizzo delle organizzazioni mafiose dall’altro. 
Le zone economiche speciali sarebbero un modo concreto per sconfiggere disoccupazione, povertà, criminalità. Sembrano cose impossibili, ma la politica – diceva Bismarck – è l’arte del possibile. 

Un’altra cosa su cui vorrei discutere insieme a Voi è che il Sud Italia è il luogo di contraddizione sia della prima che della seconda Repubblica italiana. E’ in questa parte del Paese, infatti, che si concentrano maggiormente disoccupazione, criminalità organizzata, carenze infrastrutturali e disservizi. E’ qui da noi che lo scarto tra i principi enunciati dalla nostra bellissima Costituzione e la loro realizzazione ed effettività, si fa maggiore e più profondo. E’ nel Sud che la Costituzione è stata maggiormente disattesa, ed è nel Sud che ad essa dobbiamo restituire importanza!

Ultima considerazione e mi avvio alla conclusione. La rappresentazione della realtà sociale al Sud può configurarsi come una vera e propria ‘trappola’. Cos’è una trappola? La trappola è per definizione un meccanismo invisibile nel quale è facile entrare ma difficile, o quasi impossibile uscire. Ebbene, la rappresentazione sociale che viene fatta e che facciamo del Mezzogiorno d’Italia si configura come una trappola nella misura in cui è facile lasciarsi convincere dai luoghi comuni e dagli stereotipi che lo riguardano ed è difficilissimo non farsi condizionare da essi. Ad esempio si crede che il Nord paghi più tasse (il luogo comune è che il Nord produce e lavora e paga tasse per il sud che invece è inoperoso, sfaticato e delinquente), ma è falso (!) perchè, come si evince bene dalla rivista, secondo la Svimez è il Sud a pagarne di più. Ancora; è opinione comune che la crisi stia colpendo soprattutto il Nord, ma è falso anche questo perchè il rapporto svimez dice di tutti i posti di lavoro persi negli ultimi anni per la crisi, circa il 70% è stato perso in una delle 8 regioni meridionali. 

Insomma, e concludo: si può risolvere la questione meridionale e rendere l’Italia un Paese più unito, più moderno e più giusto? Io dico che si deve, quindi si può! La Germania lo ha fatto, colmando con mirati investimenti governativi il divario tra la sua parte est e la sua parte ovest in circa dieci anni. Noi dobbiamo farlo anche! E’ una via obbligata. Affinché ciò possa avvenire, però, è necessaria una convergenza tra volontà nazionale e volontà locali. Io ritengo che a livello locale noi siamo pronti, perchè la consapevolezza di essere utili (o meglio) preziosi (o ancora meglio) indispensabili alla rinascita economica e sociale del nostro Paese è una condizione che ci ripaga (per certi versi) delle ingiustizie che abbiamo dovuto fin qui sopportare dall’unità d’Italia in poi e ci predispone mentalmente a nuove forme di comportamento. 

Dunque, invito a leggere questa rivista che Vi è stata distribuita all’inizio, e dico che possiamo ripartire da qui, da Castrovillari, per impegnarci nell’affermazione di una nuova stagione politica e sociale e far sì che la IIIa Repubblica Italiana possa essere la cornice della emancipazione definitiva del sud Italia. Costantino Mortati – eccelso giurista calabrese – disse agli operai calabresi dell’epoca (attraverso uno scritto che è qui riportato nella rivista) ”date anche Voi l’ultimo colpo di piccone che faccia crollare il vacillante edificio sociale”. Allora facciamoci agenti di cambiamento anche noi  (come suggeriva Mortati). Afferriamo questo metaforico piccone per cambiare le cose e rifondare una nuova Calabria, una nuova Italia, una nuova Europa.

Grazie e auguri per ogni cosa!

Francesco Lo Giudice.
  

Intervento tenuto nella sala 14 del Protoconvento francescano a Castrovillari (Cs)

Io, il dott. Pasquale Pandolfi, l'on. Cesare Marini, l'avv. Filomena Bloise, il prof. Domenico Cersosimo
Io, il dott. Pasquale Pandolfi, l’on. Cesare Marini, l’avv. Filomena Bloise, il prof. Domenico Cersosimo

 

 

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